Cara Ilaria, oggi, finalmente, hai raggiunto la pienezza della vita cui tanto hai aspirato. Il volto del Signore splende sul tuo, disteso, sereno, bellissimo. La verità che hai insistentemente cercato nella tua breve ed intensa esistenza ormai ti si fa chiara. Queste tre parole – «pienezza della vita», «volto del Signore» e «verità» – hanno segnato il tuo cammino spirituale, che ho avuto la gioia di condividere e di veder drammaticamente compiuto. Perciò, ringrazio don Angelo, il tuo parroco di sempre, di avermi concesso l’onore di renderti pubblica testimonianza, oggi, giorno in cui sei tornata fisicamente nella comunità da cui sei partita il giorno del battesimo e della tua iniziazione cristiana.

Tra queste case sei nata – trentasette anni fa, tra due mesi -, dall’amore di Giuseppina e Sauro, per rallegrare una bella famiglia dove ti aspettavano tuo fratello Valerio e tua sorella Simona. Questa tua famiglia, semplice, genuina, amante di valori autentici, ti ha cresciuta nella serenità, rendendoti capace di vero affetto e di dolcezza verso tutti. Poi gli anni dello studio, coltivato nell’impegno assiduo e proficuo, nell’amicizia con i compagni e le compagne, nell’allegria e nella spensieratezza.

Erano i giorni in cui sfogliavi sognante Il piccolo missionario, con l’ingenuità che nella giovinezza fa aspirare a “qualcosa di grande” -come amavi ripetermi-: fare il medico missionario in Africa, per curare i più poveri e deboli della terra.

A volte, cara Ilaria, i sogni si avverano; il Signore è capace di prendere sul serio i desideri inconsapevoli di una ragazzina che, mentre si dedica attivamente alla parrocchiale e comincia a mettersi a servizio degli ammalati con L’UNITALSI, non sa ancora che sta correndo rapidamente verso la meta.

Dopo il liceo classico, gli studi di medicina, per dare corpo ad un generoso spirito di servizio verso gli ammalati, che continuavi a praticare quotidianamente a Pontedera e a Lourdes. Lì ci siamo incontrati di nuovo. A Lourdes all’inizio degli anni Novanta, maturava la tua aspirazione consapevole di voler donare la vita. Mentre accompagnavi malati che andavano a chiedere, tu ti presentavi al Signore per donare. Con una rapidità incredibile, a poco più di vent’anni, cresceva in te il proposito della consacrazione religiosa, insieme alla disponibilità ad abbandonare gli studi del terzo anno di medicina, cui mancavano due esami.

Alle porte del Carmelo di Torino ti accolse quella saggia e splendida donna, che ancora vive ad oltre novant’anni, Madre Maria Luisa, cui non sfuggì una inconsueta lettura dei doni di Dio. Tra quelli che venivano dal battesimo, ovvero la tua vita di prima orientata a fare il medico e quelli di dopo, della vita religiosa, non poteva esserci contraddizione. Così, dopo un noviziato abbreviato, ti chiese di riprendere l’università a Torino, per concludere il percorso di studi, mentre iniziavi la vita di consacrata.

Il duplice volto di professione medica e religiosa hanno fatto di te una persona di raro equilibrio umano e cristiano. Cominciava a definirsi il profilo della missione, gettando lo sguardo del cuore sull’Africa, quando ti laureasti con una tesi sulla malaria.Fosti così apprezzata che il Prof. Gioannini ti volle nella specializzazione in malattie infettive, dove proseguisti e portasti a termine la strada intrapresa. Intanto, paradossalmente, vivevi alla Fornaca, clinica per i benestanti torinesi; poi, all’Amedeo di Savoia, con i malati di AIDS di Torino; quindi, di nuovo con i ricchi, alla Pinna Pintor. Una straordinaria oscillazione tra i ricchi e i poveri, ma sempre comunque ammalati, ti ha insegnato ad amare tutti, indistintamente e fino in fondo. Ma nel cuore il sogno rimaneva, l’Africa, misteriosa, affascinante e crudele. Prima un mese in Madagascar, poi due in Burundi, quindi tre in Centrafrica. Esperienze belle e complesse ti preparavano alla missione, che ti fu affidata con il crocifisso dalle mani del cardinale Poletto.

Era ormai maturata quella apertura a Dio che gli avevi promesso il giorno della professione perpetua. Il 2 dicembre del grande Giubileo del 2000, a Bocca di Magra, ti consacravi solennemente al Signore, nella Congregazione delle Carmelitane di Santa Teresa di Torino, pronta ad accogliere tutto ciò che Gesù avesse pensato per te. Pochi giorni dopo mi scrivevi: «Cerco una verità che sia acqua limpida e fresca capace di rinnovare la mia vita… soprattutto quella professionale…, che sia pane per la mia fame di solidarietà con i più poveri e soli, di radicalità nella mia vita di consacrata; che sia luce nei rapporti che vivo qui, nella mia comunità, nella mia Congregazione, in Ospedale… e là, con i miei e con tutti quelli che amo… Cerco ancora la verità… come sempre… la verità principalmente di me stessa: sono un vaso di creta che chiede a colui che la sta plasmando: che fai? …e cerco la verità di Dio: Dio è Dio… ed è libero di essere se stesso…».

Cara Ilaria, cercavi mo1te cose, cercavi tutto ciò che si può cercare nella vita, ed il Signore ti ha fatto vedere, come a Mosè dal monte Nebo, la terra promessa della missione. Con l’incredibile rapidità di dieci mesi è sorto un ospedale a Bossemptelé, grazie all’incondizionata dedizione di Gian Paolo Rosati, che ti ha amata senza misura ed accompagnata giorno e notte, e a coloro che con generosità e competenza hanno costituito l’Associazione “Noi per l’Africa”- Onlus. Cosa umanamente sorprendente, certamente progetto della Provvidenza, sostenuto da tutti -pontederesi, pisani, torinesi, romani, africani-, senza grandi difficoltà, con la convergenza di competenze diverse ed eccellenti.

E noi, oggi, siamo qui a chiederci com’è possibile che il Signore voglia due cose ai nostri occhi cosi inconciliabili: il tuo ospedale e la tua scomparsa. Questo è il momento della fede e dell’amore. Siamo tutti qui, intorno a te, non per capire, ma per affidarci. Non possiamo leggere la tua storia d’amore senza la luce che ci viene, nel chiaroscuro della fede, dalla Parola di Dio adesso proclamata. Non avrei mai pensato che la parabola del Padre misericordioso e i due figli potesse essere compresa come adesso ci si propone. Il tuo tornare nelle braccia del Padre come colei che in questo mondo ha speso tutto in un paese lontano, non vivendo da dissoluta, ma davvero a servizio dei più disgraziati. Ed è proprio vero che nella casa del Padre tuo c’è il pane in abbondanza, mentre là si muore di fame. Hai davvero portato con te il dolore dell’umanità debole, affaticata, oppressa. Se anche vi è stata in te la traccia della fragilità del peccato umano, adesso è purificata pienamente, dal sangue versato per gli ammalati e i morenti dell’Africa. L’unica cosa che resta, e ci consola, è la felicità di cui godi, nell’abbraccio del Padre buono, che ha preparato per te il suo banchetto di festa.

Se c’ è un motivo per cui non mi arrabbio con Dio è il volto di quel Dio in cui credo, che risplende nel suo Figlio crocifisso e risorto. Non me la rifaccio con lui perché so che ha conosciuto di persona la sofferenza della morte. Anche lui è un Padre che ha perduto un Figlio, e proprio donandolo lo ha ritrovato. Anche lui, da Figlio ha conosciuto l’abbandono del Padre, e abbandonandosi lo ha ritrovato. Anche se questo Dio non riesco a capirlo, posso credere che lui capisce me, capisce noi. E sono certo che farà brillare la sua luce pasquale nelle nostre tenebre umane, donandoci il suo Spirito.

Carissima Ilaria, fatichiamo a pensare che la vita non è questione di tempo, ma di senso. Tu un senso gliel’hai dato; il tempo però è stato troppo breve, ai nostri occhi. Hai realizzato un sogno: medico missionario in Africa, che dirige un ospedale. La tua vita è scorsa effettivamente senza grandi difficoltà esteriori -anche se ben conosco il tuo grande travaglio interiore (e spero un giorno di poterne offrire preziosa testimonianza attraverso la raccolta dei tuoi scritti) -. Forse adesso è chiaro perché tutto è andato fatalmente liscio, fino alla mattina di sabato scorso, 10 marzo. Dopo l’ultimo breve periodo in Italia, in cui hai avuto il tempo di vedere, sentire e salutare tutti, sei tornata mi Africa, per avviare l’ultima fase, prima dell’inaugurazione dell’Ospedale. Nei giorni precedenti mi hai manifestato una grande ansietà, che mi pareva normale, come prima di ogni nuova partenza. Ma mi dicevi che non era come le altre volte, che sentivi che poteva succederti qualcosa. Ne abbiamo parlato, abbiamo ben valutato i rischi dell’Africa, dove la morte e la vita sono così vicine da confondersi. Banditi, ribelli, militari, strade pericolose. Tutte cose sempre messe in conto, ma tu avevi la percezione di qualcosa di nuovo, anche se alla morte eri sempre e comunque preparata. Ogni partenza poteva essere l’ultima -anche se non ci crede mai fino in fondo, perciò, come sempre hai lasciato tutte le tue cose in ordine. Ci siamo sentiti intorno alle nove, da Bangui, quando stavi per salire sull’auto, guidata da Apollinaire, il nostro bravo autista, con la malgascia Sr. Elisabeth ed un bambino africano. Eri più serena, avevi riposato in volo da Parigi, gustavi il calduccio africano. Da questo momento, le nostre fonti sono i racconti di Sr Elisabeth e di padre Euro, il procuratore generale delle missioni, che poi ti ha soccorso. Dopo circa sessanta chilometri, probabilmente per un colpo di sonno del guidatore, l’auto è uscita di strada, rotolando su stessa più volte. Tu eri dietro, forse addormentata, e sei stata sbalzata in avanti; fino a sbattere sul vetro frontale dell’auto. In sango (la lingua locale), hai gridato il tuo dolore ai primi soccorritori. Mentre ti stringevi con forza a Sr. Elisabeth, questa ti ha invitato ad offrire a Gesù il tuo lamento e tu hai esclamato in francese: «Accetto tutto». Queste le tue ultime parole, poi via verso l’ospedale di Bangui, dove, fra le tenere braccia di padre Euro, te ne sei andata in cielo. Sono felice di averti visto bella, serena, per nulla sfigurata. Le tue sorelle religiose ti hanno preparata a festa, vegliandoti con dolcissimi canti. Ti abbiamo riportata a casa, grazie ad un volo di Stato.

Meritavi questo onore, per il quale ringrazio di cuore tutte le autorità istituzionali, governative e militari della Repubblica Italiana, e tutti coloro che in mille modi si sono prestati a renderlo possibile, a cominciare dall’Amministrazione comunale di Pontedera e dalla Regione Toscana. La 46a Brigata Aerea di Pisa, con il suo magnifico equipaggio, composto da cinque uomini di grande cuore e professionalità, in 35 ore ti ha riportato qui. È stato il tempo in cui si sono come riavvicinati, nei cieli d’Africa, la tua anima e il tuo corpo. A noi adesso, non resta che dirti grazie, per tutto ciò che sei stata e continui ad essere: amore senza riserve per tutti. Se un senso tu l’hai dato alla tua vita, adesso tocca a noi darne uno alla tua morte. Ciascuno e ciascuna potrà cercare il proprio personale senso, dato che quello assoluto lo sa solo quel Dio che tu dicevi libero di essere se stesso, e che ora a noi mostra ancora il volto di Gesù crocifisso e risorto. Ogni persona che è qui ha un tuo ricordo personale, e a quello può attingere per trovare forza. Da questo chicco di grano caduto nella terra potranno nascere tante spighe quanti noi siamo. Alla Madonna di Lourdes, Vergine dei dolenti, custode della gelosia di Dio per gli indifesi, affidiamo il canto silente delle lacrime. Maria, senza macchia, tu voluta da sempre, trascina oltre la caligine i deboli assetati d’amore. O amore unico di Dio, che pretendi, esigi, violento, la morte della morte, la vita dalla, Vita, tieni con te Ilaria, che abbiamo molto amato, come ci è stato possibile.

Don Maurizio Gronchi